2019 - World Cup

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I confini politici sono una invenzione dell’uomo e potremmo stare a disquisire per ore sulla loro utilità ed opportunità di esistere, piuttosto che sulla loro vocazione a dividere l’umanità in nazioni, regioni, provincie, rendendo impossibile quella fratellanza e quell’amore cosmico che tanti bramerebbero avere.
Resta il fatto che i confini politici esistono e resta il fatto che non si finisce mai di essere un po’ bambini e ritrovarsi a giocare tra adulti su argomenti che parevano dimenticati da tempo.

Viaggiavamo in auto ormai da diverse ore con destinazione Lussemburgo, dove quarantotto ore dopo si sarebbe disputata la Coppa del Mondo; la noia si faceva sentire e le argomentazioni per le chiacchiere cominciavano a scarseggiare.

D’improvviso, chissà come, nacque tra di noi una sfida relativa al numero delle nazioni nelle quali si fosse già avuto modo di andare; nella mia vita ho avuto la fortuna di girare il mondo, sia per lavoro che per turismo e conducevo ampiamente la classifica della gara, seguito dalla Dani e, distaccata, da Raffaella, legata fino dalla nascita alle Alpi Orobie, dove da sempre trascorreva vacanze e week end.

Ovvio che nel patrimonio delle nazioni da me visitate figurassero il Lussemburgo, nonché i vicini Belgio ed Olanda, mentre nel carniere della Raffa l’imminente ingresso nell’ormai prossimo Granducato, avrebbe segnato un significativo salto in avanti.

Varcammo il confine e, per nulla inatteso, ecco il desiderio di Raffaella di visitare il più vicino Decathlon, dove era assolutamente certo che avremmo trovato le stesse precise ed identiche cose disponibili nel Decathlon sotto casa ma, era assolutamente altrettanto certo, il fascino di vederle in uno store lussemburghese avrebbe agito come una sirena sulla Raffa, che non avrebbe resistito ad improbabili occhiali da sole e all’ennesima felpa colorata della Kalenji.

Ma il Lussemburgo è piccino e, dramma, di Decathlon non ce ne sono.
Ne scovammo uno appena al di là del confine belga, a pochissimi chilometri di distanza e in un attimo fummo in Belgio, aggiornando il numero delle nazioni visitate da Raffa, per fiondarci a fare shopping.
All’uscita, dopo avere stipato lo stipabile nel capace bagagliaio della nostra Octavia, io presi con aria indifferente i bastoni, li impugnai, mi incamminai e feci un giro del parcheggio, mentre le mie due compagne di viaggio mi guardavano con aria perplessa; percorsi un centinaio di metri, poi ritornai, saltai in auto e ci avviammo.
Fu solo qualche chilometro dopo che annunciai la nuova gara da effettuare dicendo: “vediamo in quante nazioni abbiamo fatto Nordic Walking” e aggiunsi “io ho fatto Nordic Walking in Belgio e voi no!”

Cinque minuti dopo stavo nuovamente posteggiando l’auto nel parcheggio Decathlon, perché la mia vita era minacciata da due inferocite passeggere, che vollero a tutti i costi ritornare sul luogo del delitto e compiere anche loro qualche passo di Nordic Walking sul sacro suolo belga.

Fecero ben due giri del parcheggio, in modo da potermi prendere adeguatamente in giro, vantandosi di come la loro esperienza di Nordic Walking in terra belga fosse doppia rispetto alla mia, avendo compiuto ben duecento metri contro i miei cento.
Risero tutta la sera mentre, eleganti, partecipavamo alla cerimonia di apertura della Coppa del Mondo.
Arrivò il giorno della gara e filammo via, ognuno per la sua distanza, ognuno con i suoi pensieri; mi trovai subito solo sul percorso dei miei cinquemila metri, senza traccia di avversari né davanti né dietro.
Una gara anomala, quasi surreale, col silenzio rotto solo dal ritmico ticchettare dei miei bastoni e dall’incitamento degli spettatori; silenziosi i giudici, silenzioso l’ambiente, nessuno intorno.
Che strano.

Fu solo l’entusiasmo della gente che mi confermò che davanti a me non c’era nessuno, eccezione fatta per un ragazzino il quale, per fortuna sua, era un quattordicenne alto oltre centottanta centimetri, che era andato come un forsennato ma, per fortuna mia, apparteneva alla categoria junior, consentendo a me di fregiarmi di una splendida medaglia d’oro in Coppa del mondo.

Mezz’ora dopo ecco la Dani, impegnata nei diecimila metri; che si presentasse sola al traguardo era prevedibile e, per la verità anche pianificato, nonostante i suoi soliti dubbi scaramantici pre gara.
Ma Dani comparve in fondo alla dirittura d’arrivo affiancata ad un puntino vestito di bianco, suscitando un po’ di preoccupazione in me, che la attendevo sotto lo striscione del traguardo e temevo che la outsider del giorno stesse per giocarci un tiro mancino.
Invece no: il puntino azzurro era Daniela, italiana e femmina, quello bianco era Krzyztof, polacco e maschio; dopo una lunga gara, Dani si era affiancata a Krzyztof e lui, sorpreso di essere stato raggiunto da una donna, le aveva detto "congratulations"; mancavano settecento metri al traguardo, non di una gara qualunque, ma della Coppa del Mondo.

E allora l'agonismo venne fuori...

Dani cominciò a tirare e a Krzyztof non importò un fico secco se lei era una donna e, dal punto della classifica non sarebbe cambiato un bel niente, avendo già di fatto Daniela l'oro al collo mentre lui, bravissimo, sapeva che tra poco si sarebbe fregiato della medaglia d'argento.
Cominciarono a tirare come pazzi, perché l'agonismo non è vincere, l'agonismo è dare il meglio di sé stessi e nessuno, meglio di un avversario reale o solo virtuale, sa tirare fuori il meglio di un atleta.
Si attaccarono ad una tecnica sopraffina e alle energie mentali, perché i muscoli avrebbero voluto dire loro: "ma chi te la fa fare, visto che lui/lei è un uomo/donna..."
Ma tirarono alla morte, facendo una volata che resterà nell'epica della Coppa del Mondo; si fiondarono sul traguardo, per poi sciogliersi in un abbraccio fraterno, l'uno tra le braccia dell'altra, dicendosi reciprocamente "grazie, thank you e dziekuje" per avere concesso l'occasione, l'uno all'altra, di dare tutto.

La volata finale in Coppa del Mondo, Lussemburgo 2019 tra Krzysztof e Daniela rappresenta per me uno dei massimi momenti dello sport più epico e leggendario, da appaiare ad eventi come il mitico duello tra Arnoux e Villeneuve a Digione 1979, alla corsa di Tardelli ai Mondiali 1982, ai "dieci" della Comaneci a Monaco 1972, a Bartali e Coppi che si passarono la borraccia al Tour de France, 1952.

Un momento di sport eccezionale, arricchito dal fatto che i due non erano ovviamente avversari, essendo uomo e donna, ma diedero vita a questa epica sfida solo per onorare uno degli sport più nobili, quale è il Nordic Walking Agonistico.

Ormai era tempo che arrivassero i mezzi maratoneti; avevamo perso le tracce di Raffa, impegnati come eravamo stati nelle nostre gare; arrivò una ragazzetta russa, inondata di applausi e di incitamenti, andando a prendersi un oro meritatissimo, sia per il gesto tecnico che per l’ottimo riscontro cronometrico, mentre io e Dani, ormai docciati e rivestiti di fresco, stavamo sul traguardo scrutando l’orizzonte, ma di Raffa o di altri atleti neanche l’ombra.

Dani fremeva impaziente e poi disse “le vado incontro”, incamminandosi contromano appena fuori pista.
Solo il tempo di scomparire dietro la prima curva, un paio di centinaia di metri più distante e fu di ritorno, col pollice alzato e un sorriso a trentadue denti: Raffa stava arrivando, sola.

Urlammo come pazzi mentre lei andava a prendersi un meritatissimo argento; la sera saremmo stati in tre sul podio, con due ori e un argento al collo e lo champagne tra le mani.
Un risultato fantastico, ma la sorpresa più bella doveva ancora arrivare.

La Direzione di Gara, con un gesto davvero nobilissimo, aveva concesso ad una ragazzetta austriaca, nata con un cromosoma 21 di troppo, di prendere parte alla gara dei cinquemila metri assieme a “quelli bravi”; la giovane austriaca arrivò ultimissima, ma acclamata come e più della vincitrice.
Fu una grande sorpresa quando la sua accompagnatrice, in un inglese stentato, mi fece capire che la ragazzina aveva un sogno speciale: quello di salire sul podio insieme a me.

Quel giorno calcai il podio più prestigioso della mia carriera agonistica e vissi l’emozione di mettermi al collo una medaglia d’oro in Coppa del Mondo.
Mentre Mameli risuonava nell’aria e il mondo applaudiva, io mi inebriavo della consapevolezza di essere lì per davvero e di essere, almeno per un attimo, il vertice di una piramide mondiale.

Ma quello fu sicuramente il podio più denso di significati, il podio in cui, più di ogni altro momento, sentii di avere fatto la mia parte nell’incarnare lo spirito di Olimpia, quello che lega tutti gli sportivi del mondo nella fratellanza, nell’eguaglianza, nella condivisione e ne fa uno strumento insostituibile di amicizia tra i popoli.

C’è una foto della cerimonia di premiazione, dove sono sul gradino più alto, affiancato dal sorriso enorme di una piccola donna alla quale la vita aveva riservato lo spettro della diversità, ma che, quanto ad affetto ed entusiasmo, non era seconda a nessuno.
In quell’attimo gli anni di sacrifici, di fatica, di denti stretti, di caldo e di freddo, di pioggia e di vento, di illusioni e di delusioni, trovarono il loro perché e fu chiaro che ne era valsa la pena.

Grazie Anja!
Credimi che, fosse solo per rivivere quei pochi secondi sul podio insieme a te, rifarei tutto da capo.

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